STORIA
Il
Regno delle Due Sicilie fu uno Stato sovrano dell'
Prima
della
Inizialmente
la capitale era
Palermo
continuò ad essere considerata "città
capitale" dell'
Il
regno ebbe fine con la
l
La
prima menzione ufficiale del
Dopo
la breve parentesi Alfonsina i due regni tornarono ad essere
del tutto separati, uno con capitale
Il XVIII secolo
Nel
Mantenne
quindi la separazione tra i due regni: a Napoli regnò
con sovranità assoluta come
Le capitali restarono due, ma mantenne la corte a Napoli.
Carlo
non ebbe un'effettiva autonomia dalla Spagna fino alla
Nel
Il periodo napoleonico
Erano
già entrati in Italia nel 1796
con Napoleone
Bonaparte,
che era riuscito facilmente ad aver ragione delle armate austriache e dei deboli governi locali. Il 22 dicembre 1798
il re abbandonò il Regno di Napoli per rifugiarsi a Palermo
(dove rimase fino al 1802).
Il
22 gennaio
La
Dopo
la vittoria di
Ferdinando II, le riforme e il 1848
Il
Al momento del varo (1850) era la più potente nave da guerra italiana.
Alla
morte di Francesco I, l'8 novembre
Il
suo governo fu caratterizzato da riforme volte a
migliorare l'
Inoltre bisogna sottolineare lo sforzo sostenuto dal regno a partire dal 1830 in campo industriale, che permise la nascita dei primi nuclei di un settore manifatturiero moderno.
Svariati
furono i primati tecnici registrati in questo periodo. In
Campania nacque il maggior complesso industriale
metalmeccanico d'Italia (
In
I moti rivoluzionari
Nel
gennaio del 1848, con la riaffermazione di movimenti
regionalistici risvegliati dalla recente crisi europea,
il Regno delle Due Sicilie vide scoppiare una nuova
insurrezione
in Sicilia,
avvenimento che innescò moti similari nel resto
del reame e di conseguenza nel resto d'Italia, con
risvolti decisivi per la successiva storia nazionale. La
rivoluzione siciliana scoppiò il 12 gennaio 1848
in
L'estensione
del movimento insurrezionale alla Campania e al resto del
regno fu immediato. Il re, dopo alcuni tentativi di
frenare il movimento con caute concessioni, cercò
di arginare le richieste liberali concedendo la
Costituzione, per primo in Italia, con Regio Decreto del
29 gennaio, ispirandosi al modello francese - giudicato
il migliore - (analogo criterio seguirà due mesi
dopo il
Intanto
in Sicilia, l'11 febbraio, venne promulgata la
Costituzione, giurata il 24 febbraio, nel medesimo giorno
della fuga di Luigi Filippo da Parigi. Il 25 marzo del
1848 si riunì il
Le
elezioni nel Regno delle Due Sicilie continentale invece
si tennero nel mese di aprile. Il superamento di questa
delicata fase non pose termine ad una disputa fra il
sovrano, che considerava la Costituzione appena concessa
come base del nuovo ordinamento rappresentativo, e la
parte più radicale dei neoeletti che, al
contrario, intendeva "svolgerla" (come si
diceva con terminologia apparentemente neutra), ovvero il
primo atto del Parlamento avrebbe dovuto essere la
modifica della Costituzione appena promulgata. Il 15
maggio 1848 a Napoli, il giorno successivo all'apertura
della Camera, ci furono clamorose manifestazioni da parte
dei deputati costituzionali (ed in particolare di quelli
repubblicani). Fu quello il giorno decisivo per le sorti
della Costituzione delle Due Sicilie: si ebbero a Napoli
sbarramenti delle vie cittadine (in specie quelle
prossime alla reggia) con barricate da cui partirono
fucilate in direzione dei reparti schierati. Questi
disordini determinarono l'inevitabile reazione regia e
quindi lo scioglimento della
Ferdinando
II in seguito ai fatti del 15 maggio decise di
intraprendere una risoluta restaurazione assolutistica.
Nel settembre 1848, dopo aver richiamato in patria
l'armata napoletana
Ferdinando II nominò Filangieri duca di Taormina e governatore della Sicilia. Con un decreto del re di Napoli del 15 dicembre 1849 venne imposto all'isola un debito pubblico di 20 milioni di ducati.
L'immobilismo politico e l'ostilità britannica
Anche
se non vi fu una formale revoca della Costituzione, ma
una sua "sospensione" a tempo indeterminato,
dopo l'insurrezione siciliana e quella napoletana
Ferdinando II decise di non intraprendere più
alcuna riforma politica nel regno. Anche in questo caso
vi fu un seguito di processi e condanne, tra cui quelle
di
Domate
le fiamme divampate nel
D'altronde le masse si sentivano estranee alle rivoluzioni volute dalle élite ed anelavano a vivere pacificamente.
Il principe Paolo Ruffo di Castelcicala, ambasciatore napoletano a Londra e poi successore di Filangieri in Sicilia.
Con gli eventi del biennio '48-'49 quindi le idee liberali e l'atteggiamento tollerante di Ferdinando II vennero meno: il sovrano assunse una condotta inflessibile che, da un lato, gli consentì di riprendere il controllo del suo regno ma, dall'altro, fece sì che egli fosse dipinto come un "mostro" dalla stampa liberale europea.
A
tal proposito fecero grande impressione a Napoli gli
scritti di
Infatti,
prima della pubblicazione delle missive di Gladstone, il
primo ministro inglese
Ad
aggravare ulteriormente l'ostilità del re verso le
aperture politiche contribuì l'attentato compiuto
da
Pur
di rompere l'immobilismo in cui era piombato il regno
borbonico dopo il 1848, gli esuli rifugiatisi a Torino e
a Parigi decisero di sostenere nel 1857 un piano ideato
da
Ferdinando
II morì il 22 maggio 1859 a soli 49 anni in
seguito ad una setticemia le cui cause sono tuttora
controverse. Egli fu colpito da un'infiammazione
all'inguine durante il viaggio da Napoli a Bari, città
dove sarebbe sbarcata la giovane sposa bavarese del
La
reazione assolutistica, intrapresa da Ferdinando II per
ristabilire l'ordine nel reame dopo le rivoluzioni del
1848, inaugurò nel Regno delle Due Sicilie quello
che fu definito come un vero e proprio "decennio di
immobilismo". Questo decennio fu caratterizzato da
un crescente isolamento del reame da parte delle potenze
straniere, specialmente quelle a cui faceva capo il
Francesco II
Francesco
II salì al trono a soli 23 anni il 22
maggio del 1859 assieme alla sua giovane consorte,
Nello
stesso periodo rientrarono in patria gran parte degli
esuli che avevano lasciato le Due Sicilie dopo il 1848
per motivi politici, spesso andando ad occupare
posizioni nel nuovo governo napoletano. Questo brusco
cambio di regime fu uno dei principali motivi
dell'indebolimento del Regno delle Due Sicilie nei
convulsi giorni del 1860: le nuove istituzioni
governative si ritrovarono in una situazione che
richiedeva una risolutezza che mancò
completamente in quei frangenti. Il reame sopravvisse
fino al
La
situazione siciliana nel 1860 era estremamente tesa.
Dal 1849 fino alla morte di Ferdinando II si visse in
Sicilia un decennio di relativa quiete, grazie
all'azione repressiva ed allo stesso tempo
riconciliatrice svolta dai luogotenenti del re Carlo
Filangieri e Paolo Ruffo. Tuttavia alla morte
dell'autoritario sovrano si riaccesero nell'Isola
aspirazioni rivoluzionarie. Gran parte della nobiltà
isolana, specialmente quella palermitana, era
nettamente schierata dalla parte della fazione
liberale ed unitaria, e molti dei suoi giovani
rampolli avevano un ruolo attivo nelle attività
cospirative. Dopo la
Cacciatori
del
Palermo nel 1860
Da
quel giorno il
La spedizione dei Mille
Garibaldi
quindi, preceduto da
Lo
Stromboli,
che quel giorno aveva dovuto fermarsi per alcune ore
al porto di Trapani, arrivò a Marsala solo a
sbarco avvenuto, insieme alle navi Partenope e Capri,
e non poté fare altro che effettuare un tardivo
quanto inefficace bombardamento. Il ritardo decisivo
con cui venne aperto il fuoco contro i Mille fu
causato innanzitutto della presenza di navi inglesi
nel porto siciliano, le quali rischiavano di essere
bersagliate dalle granate borboniche con gravissime
conseguenze politiche. Nel frattempo l'ufficio
telegrafico di
Francesco
II reagì facendo pressioni su alcuni celebri
generali napoletani, tra cui l'esperto ex-primo
ministro Carlo Filangieri, affinché andassero a
dirigere le operazioni in Sicilia. Tuttavia nessuno
accettò il gravoso compito, e Filangieri, in
alternativa, propose come comandante in capo delle
Reali Truppe in Sicilia il generale
Il giorno 27 maggio, dopo aver perso preziosissimi giorni, Lanza fu finalmente attaccato da Garibaldi a Palermo. Seguirono 3 giorni di aspri combattimenti per le vie cittadine, in cui le truppe borboniche furono più volte sul punto di sopprimere le improvvisate difese rivoluzionarie. Ma proprio nel momento in cui i garibaldini sembravano essere sopraffatti, anche grazie all'ingresso in città della colonna "Von Mechel", Lanza decise di stipulare un armistizio che di fatto decretò la conquista di Palermo da parte degli insorti.
Il
principe Filangieri, capendo che la situazione stava
precipitando, propose al giovane sovrano una soluzione
diplomatica alla crisi: egli, facendosi portavoce
delle intenzioni di
L'impresa
di Garibaldi stupì i contemporanei per le
capacità di comando dimostrate dal condottiero
nizzardo e dai suoi ufficiali e per la rapidità
con cui i Mille
riuscirono a conquistare il regno, nonostante
l'iniziale disparità delle forze in campo. Dopo
la decisiva occupazione della Sicilia, nel reame
avvennero insurrezioni guidate dai numerosi liberali
di nuova e vecchia data (coordinati da
«I capi delle bande insurrezionali, militari improvvisati, e i capi dei Comitati e dei governi provvisori appartenevano ad alta posizione sociale, circondati dalla pubblica stima. In Basilicata, Davide Mennuni, anima calda di patriottismo, era un ricco possidente di Genzano; Vincenzo Agostinacchio, che comandava il contingente degli Spinazzolesi mossi alla volta di Potenza insorta, era avvocato e benché di gracile salute, aveva indomita forza d'animo; avvocato era Teobaldo Sorgente; possidente, Luigi de Laurentiis; prete, che aveva gettata la sottana, Niccola Mancusi; e ricchi il marchese Gioacchino Cutinelli, che morì senatore del Regno d'Italia; Domenico Asselta, che fu deputato; e così Niccola Franchi, gli Scutari e i Sole, cugini del poeta, e così tanti altri, in Puglia, in Basilicata, ma principalmente in Calabria, dove milionari, come i Morelli, i Compagna, gli Stocco, il Guzolini, i Quintieri, i Labonia, i Barracco, erano a capo dei Comitati o li sovvenivano. Non erano certo bande di straccioni, perché la borghesia più eletta vi dava largo contingente. La rivoluzione si compiva in nome dell'idea morale; e i ricordi storici, e le poesie patriottiche infiammavano di ardore lirico quei cospiratori e quei soldati. Disfarsi dei Borboni, conseguire la libertà durevolmente, tradurre in atto il pensiero di Dante e di Machiavelli e confidare in una rigenerazione morale ed economica di un nuovo stato di cose, che non fosse Repubblica, ritenuta sinonimo di disordini, ma Monarchia costituzionale e nazionale, con un Re, divenuto anche lui una leggenda: ecco l'ideale che sfuggiva alle analisi e alle riflessioni, e mutava la conservatrice e ricca borghesia in forza rivoluzionaria; ideale non fumoso, anzi in via di realizzazione per un provvidenziale concorso di circostanze. |
|
La
prima insurrezione fu quella della
Con
la città di
In
Le
armate borboniche sulle prime non riuscirono ad
organizzare un'efficace resistenza, sebbene in ciò
ebbero parte anche numerosi episodi documentati di
insubordinazione e di corruzione
degli
stessi ufficiali generali, generalmente
ultrasettantenni, per gran parte ex
L'esasperazione
dei soldati del
L'inazione degli ufficiali superiori borbonici, a ragione o a torto sospettati di tradimento dai posteri, è però parzialmente spiegabile se si considera che in quel periodo, tra i vertici dei ministeri napoletani, era diffusa la convinzione che ci sarebbe stata una rapida reazione diplomatica da parte delle potenze straniere contro quella che a Napoli si considerava un'invasione del tutto illegittima o, più semplicisticamente, un atto di pirateria. Effettivamente l'attività diplomatica in quei giorni fu frenetica, ma il re si accorse troppo tardi di essere stato ormai abbandonato al proprio destino da parte delle principali potenze, soprattutto a causa delle politiche di isolamento attuate dal padre Ferdinando II dopo il 1848/49.
Solo
nella parte conclusiva della campagna, con la
Circondata,
Fine del regno
Formalmente, le Due Sicilie furono annesse a larga maggioranza al
Il
Regno Delle Due Sicilie cessò formalmente di
esistere con l'
I
governi della nuova Italia furono ben lontani
dall'assicurare la realizzazione di quegli ideali di
unità della patria e di eguaglianza dei
cittadini adombrati dall'idealismo di
«…La vita delle province del continente napoletano, col suo male e col suo bene, rispondeva ad una condizione sociale e morale, storica ed economica, che poteva venirsi modificando via via, ma non era lecito mutare di punto in bianco. E la rivoluzione violentemente la mutò nella sua parte esteriore, con un diritto pubblico, il quale non fu inteso altrimenti, che come una reazione meccanica a tutto il passato. Il nuovo diritto non rifece l'uomo, anzi lo pervertì. La vecchia società si ritrovò come ubriacata da una moltitudine di esigenze e pregiudizi nuovi, onde ciascuno vedeva nel passato tutto il male e nelle così dette idee moderne tutto il bene, e quindi la sciocca frenesia di por mano a tante cose ad un tempo, utili ed inutili. (…) Una quantità di tempo, anzi il maggior tempo, sottratto ad occupazioni più utili, e quel che fu peggio, un fatale strascico di odi che parevano spenti, ma rinascevano, di gelosie, di ambizioni, di vanità, di volgarità, di doppiezze e di interessi particolari da far prevalere: una nuova forma di guerra civile in permanenza, e una nuova tirannide, quella delle maggioranze d'occasione coi relativi deputati, servi e padroni ad un tempo, ma più servi dei peggiori elettori e dei peggiori ministri; e quel ch'è più triste, la completa distruzione del carattere. Come nella Camera dei deputati, così nei Consigli comunali e provinciali, i nemici di ieri diventavano gli amici di oggi e viceversa, non in nome di princìpi, ma d'interessi, di vanità e d'ambizioni di rado confessabili. Si mutano gli odi in amori e gli amori in odi, e si smarrisce la coscienza del bene e del male. A farlo apposta non si sarebbe potuto immaginare un sistema peggiore per guastare la gente. Nei primi anni del nuovo regime, gli odi locali furiosamente riscoppiarono, e i maggiori ricchi furono bollati per retrivi ed esclusi dalla vita pubblica, si sfogarono vecchi rancori e si compirono non poche vendette, soprattutto nel periodo della legge Pica del 1863, e della legge Crispi del 1866. Poi si fecero le paci in apparenza, ma in sostanza gli odi non si prescrissero. (…) Le province dell'antico regno ebbero leggi e ordinamenti contrari al loro carattere e alle loro tradizioni. Anche i piccoli comuni della Sicilia, della Basilicata, dell'Abruzzo e delle Calabrie sono governati dalle stesse leggi che regolano le maggiori città d'Italia. Non si tenne conto di nulla; ma tutto fu confuso in un'unità meccanica, che, a considerarla bene, è la causa dei presenti malanni e dei pericoli che minacciano il regno. Se le leggi politiche dovevano essere uguali per tutto il paese, le leggi organiche dovevano tener conto della storia e della geografia: due cose le quali non si possono offendere impunemente». |
|
PIL pro-capite di Nord e Sud (celeste) dal 1861 al 2004 secondo Daniele-Malanima.
Perduta l'indipendenza i settori produttivi dell'ex reame borbonico entrarono in una profonda crisi.
Finché
il nuovo Stato non avviò una politica di
Territorio
Il
regno comprendeva le attuali
Le
città di
La
principale suddivisione del regno (sebbene non avesse
carattere amministrativo) era fra la sua parte
continentale, i Reali Dominii al di qua del Faro,
e la Sicilia, i Reali Dominii al di là del Faro,
con riferimento al
Reali Dominii al di qua del Faro
Comprendevano le seguenti province:
Suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie
I
Provincia di Napoli (capoluogo: Napoli) II
Terra di Lavoro (capoluogo: Caserta, fino al 1818 Capua) III
Principato Citra (capoluogo: Salerno) IV
Principato Ultra (capoluogo: Avellino) V
Basilicata (capoluogo: Potenza) VI
Capitanata (capoluogo: Foggia) VII
Terra di Bari (capoluogo: Bari) VIII
Terra d'Otranto (capoluogo: Lecce) IX
Calabria Citeriore (capoluogo: Cosenza) X
Calabria Ulteriore Prima (capoluogo: Reggio) XI
Calabria Ulteriore Seconda (capoluogo: Catanzaro) XII
Contado di Molise (capoluogo: Campobasso) XIII
Abruzzo Citeriore (capoluogo: Chieti) XIV
Abruzzo Ulteriore Primo (capoluogo: Teramo) XV
Abruzzo Ulteriore Secondo (capoluogo: Aquila)
Reali Dominii al di là del Faro
Comprendevano le seguenti province:
XVI
Provincia di Palermo (capoluogo: Palermo) XVII
Provincia di Messina (capoluogo: Messina) XVIII
Provincia di Catania (capoluogo: Catania) XIX
Provincia di Girgenti (capoluogo: Girgenti) XX
Provincia di Noto (capoluogo: Noto, fino al 1837 Siracusa) XXI
Provincia di Trapani (capoluogo: Trapani) XXII
Provincia di Caltanissetta (capoluogo: Caltanissetta)
Patrimonio e finanza
La
legge del 20 aprile 1818 fissò l'unità
monetaria del regno nel
Il
Regno delle Due Sicilie aveva a tutti gli effetti un
regime monetario monometallico a base d'argento,
formato, oltre che dalle monete di quel metallo (cioè
la gran parte delle monete circolanti), anche dalle
fedi di credito del Banco delle Due Sicilie,
considerate anche all'estero valuta di prim'ordine.Nel
saggio "Nord e Sud",
Sia Nitti che Fortunato concordavano nel sostenere che la gestione finanziaria dello Stato borbonico fosse caratterizzata da una spesa pubblica estremamente esigua ed oculata, in particolare a livello infrastrutturale.
«Nel 1860 la situazione del Regno delle Due Sicilie, di fronte agli altri stati della penisola, era la seguente, data la sua ricchezza e il numero dei suoi abitanti: 1. Le imposte erano inferiori a quelle degli altri stati. 2. I beni demaniali ed i beni ecclesiastici rappresentavano una ricchezza enorme, e, nel loro insieme, superavano i beni, della stessa natura, posseduti dagli altri stati. 3. Il debito pubblico, tenuissimo, era quattro volte inferiore a quello del Piemonte, e di molto inferiore a quello della Toscana. 4. Il numero degli impiegati, calcolando sulla base delle pensioni nel 1860, era di metà che in Toscana e di quasi metà che nel Regno di Sardegna. 5. La quantità di moneta metallica circolante, ritirata più tardi dalla circolazione dello Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti insieme.» |
(F. S. Nitti, Nord e Sud, 1900) |
Di
diverso avviso invece il grande meridionalista lucano
«Quali i dati, secondo cui le due Sicilie sarebbero state, al 1860, superiori alle altre regioni d'Italia, in particolar modo al Piemonte ? Poche le imposte, un gran demanio, tenue e solidissimo il debito pubblico, una grande quantità di moneta metallica in circolazione... È quello che ogni giorno si ripete comunemente. Ora, né tutto è esatto né esso vale come indice di maggiore ricchezza pubblica e privata. Poche le imposte, perché la ricchezza mobile e le successioni erano del tutto libere; ma ben gravi le tariffe doganali e la imposta sui terreni, assai più gravi che altrove. La fondiaria, con gli addizionali, saliva tra noi a circa 35 milioni, mentre in Piemonte non dava più di 20; così anche per le dogane, che avevano cinto il Regno d'una immensa muraglia, peggio che nel medio evo, quando almeno ora Pisa e Venezia ora Genova e Firenze avevano quaggiù grazia di privilegi e di favori. Tutto ricadeva, come nel medio evo, per vie dirette sui prodotti della terra, per vie indirette su le materie prime e le più usuali di consumo delle classi lavoratrici. Eran poche, si, le imposte, ma malamente ripartite, e tali, nell'insieme, da rappresentare una quota di lire 21 per abitante, che nel Piemonte, la cui privata ricchezza molto avanzava la nostra, era di lire 25,60. Non il terzo, dunque, ma solo un quinto il Piemonte pagava più di noi. E,
del resto, se le imposte erano quaggiù più
lievi, non tanto lievi da non indurre il
L'esercito, e quell'esercito!, che era come il fulcro dello Stato, assorbiva presso che tutto; le città mancavano di scuole, le campagne di strade, le spiagge di approdi; e i traffici andavano ancora a schiena di giumenti, come per le plaghe dell'Oriente. Secoli di miseria e di isolamento, non i Borboni, ultimi venuti e, come un giorno sarà chiaro allo storico imparziale, non essi — di fronte al paese — unici responsabili del poco o nessun cammino fatto dal '15 al '60, durante quei tre o quattro decenni di fortunata tregua economica non mai avveratasi per lo innanzi: lunghi e tristi secoli di storia avevano compressa ogni forza, inceppato ogni moto, spento ogni lume, perché, suonata l'avventurosa ora del Risorgimento, noi avessimo potuto essere qualche cosa dippiù di quel niente che eravamo. De' due terribili malanni — secondo il Cavour — del Mezzogiorno, la grande povertà, e, frutto di questa, la grande corruttela, i Borboni furono la espressione, non la causa: essi trovarono, forse aggravarono, non certo crearono il problema meridionale, che ha cause ben più antiche e profonde...» |
Giustino Fortunato - IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO - Discorsi Politici (1880-1910)- Laterza & Figli - Bari – 1911- pag. 336-337.
Il divario economico era già allora evidente considerando il dato statistico riferito alle società in accomandita italiane al momento dell'Unità, in base ai dati relativi alle società commerciali e industriali tratti dall'Annuario statistico italiano del 1864. Le società in accomandita erano 377, di cui 325 nel centro-nord, escludendo dal computo quelle esistenti nel Lazio, nel Veneto, del Trentino, nel Friuli e nella Venezia Giulia. Comunque, il capitale sociale di queste società vedeva un totale di un miliardo e 353 milioni, di cui un miliardo e 127 milioni nelle società del centro-nord (sempre prescindendo da Lazio, Veneto, Trentino, Friuli, Venezia Giulia) e soltanto 225 milioni nel Mezzogiorno. Per fare un paragone, il totale della riserva finanziaria dello stato borbonico era pari a 443,200 milioni di lire; praticamente un terzo del capitale delle società in accomandita del centro-nord escludendo diversi territori non ancora annessi.
Le sole società in accomandita del Regno di Sardegna avevano un capitale totale che era quasi doppio di quello dello stato borbonico: 755,776 milioni contro 443,200 milioni di liquidi.
Gli
istituti di credito del reame erano rappresentati fino
al 1808 dagli 8 Banchi pubblici operanti nella città
di Napoli dal XVI secolo (Banco di San Giacomo, del
Popolo, del Salvatore, di Sant'Eligio, dello Spirito
Santo, dell'Annunziata, dei Poveri, della Pietà)
e dai
Nel
1806 i Banchi napoletani furono coinvolti nella
politica innovatrice che
La
restaurazione borbonica nel 1815 non intaccò le
disposizioni emanate durante il decennio francese. Il
Banco delle Due Sicilie si componeva di due sezioni
separate: la Cassa di Corte, per il servizio della
tesoreria generale del Regno (alle dipendenze del
Ministero delle Finanze) e la Cassa dei Privati. Nel
1816 fu creata anche una Cassa di Sconto, a favore del
commercio e dell'industria. Per venire incontro alle
esigenze dei clienti ed ai fruitori di fedi di credito
nel Regno (specialmente in Puglia ed in Sicilia),
furono aperte nel corso degli anni alcune succursali:
a Napoli nel 1824 fu aperta una Seconda Cassa di
Corte, nel 1844 fu inaugurata una Cassa di Corte a
Questa struttura molto accentrata del Banco, se da un lato limitava l'attività finanziaria delle province, dall'altro permetteva un maggior controllo sui profitti ed una severa limitazione delle perdite. Per questo motivo il Banco delle Due Sicilie in quegli anni vide il proprio patrimonio aumentare costantemente. Questa politica economica era favorita anche dalla severità della legislazione borbonica in materia finanziaria.
Il
reggente del Banco delle Due Sicilie era anche
direttore della zecca, o Amministrazione delle monete,
che aveva sede in
Nella
Borsa di Napoli, situata presso
La Borsa di Napoli era all'epoca una delle più attive d'Europa nel settore agricolo, caratterizzata da giochi al rialzo o al ribasso su raccolti ancora in erba gestiti mese per mese da appositi sensali.
Gli oli ed i cereali avevano un posto di primo piano nelle operazioni di Borsa: il grano delle Due Sicilie (benché subisse la forte concorrenza di quello russo e polacco) era uno dei più apprezzati all'epoca e gli oli di Puglia e Calabria erano largamente venduti all'estero per usi alimentari ed industriali (dato che allora non si impiegavano ancora gli oli minerali). Le case di commercio specializzate operanti in Borsa avevano magazzini nelle città costiere (in particolare a Manfredonia, Barletta, Gallipoli, Gioia Tauro e Crotone), messi a disposizione dei proprietari terrieri locali che vi depositavano i propri prodotti, ottenendo adeguati compensi fissati da listini di Borsa giornalieri. I commercianti quindi spedivano i prodotti raccolti nei magazzini via mare, per raggiungere i rispettivi mercati di consumo (principalmente Russia, Inghilterra, Belgio e Francia). Le case di commercio avevano generalmente sede a Napoli, e succursali nelle varie province ed all'estero. Le case più importanti venivano dette anche "firme di piazza", tra queste si ricordano quelle dei Rocca, dei Cardinale, dei Piria, dei Perfetti, dei Pavoncelli, dei De Martino e la Minasi & Arlotta. Quest'ultima in particolare si rese protagonista di una significativa operazione di borsa nel 1856, che portò all'esclusione dei Rothschild dal mercato degli oli nel regno.
Tutti
questi commerci crebbero sensibilmente negli anni
cinquanta, anche grazie alla leggerezza delle imposte.
I maggiori guadagni permisero agli imprenditori
agricoli di migliorare la qualità delle
produzioni e di reggere la concorrenza estera
(principalmente quella dei grani russi). Negli anni
cinquanta si ebbe anche un certo risveglio
industriale, spesso applicato all'agricoltura,
favorito dalle innovazioni tecniche registrate dal
Real Istituto d'Incoraggiamento e dai concorsi a premi
banditi dalle Società Economiche delle province
(che dopo l'unità divennero
Moneta circolante negli stati italiani nel 1860 (in milione di lire-oro)
Stati |
importo di lire-oro |
---|---|
Regno delle Due Sicilie |
443, 2 |
|
90,6 |
|
84,2 |
|
27 |
|
20,8 |
|
1,2 |
|
0,4 |
(*)Sotto il dominio austriaco
Agricoltura, allevamento e pesca: condizioni economiche e sociali
Stralcio della legge sull'eversione della feudalità nel Regno di Napoli (1806) |
---|
Art.1 - La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque, che vi siano stati annessi, sono reintegrati nella sovranità, dalla quale saranno inseparabili. Art.2 - Tutte le città, terre, e castelli, non esclusi quelli annessi alla corona, abolita qualunque differenza, saranno governati secondo la legge comune del regno. Art.5 - I fondi, e rendite finora feudali saranno, senza alcuna distinzione, soggetti a tutti i tributi. Art.6 - Restano abolite, senza alcuna indennizzazione, tutte le angarie, le parangarie, ed ogni altra opera, o prestazione personale, sotto qualunque nome venisse appellata, che i possessori de' feudi per qualsivoglia titolo soleano riscuotere dalle popolazioni, e da' particolari cittadini. Bullettino delle leggi del Regno di Napoli, Napoli 1807-1815, pag. 257. |
Nel regno borbonico, come negli altri stati preunitari,
l'agricoltura costituiva il settore predominante. Le
condizioni climatiche delle Due Sicilie favorivano la
produzione di
Zone
molto sfruttate per la coltivazione di alberi da
frutto erano ad esempio le campagne intorno al
La
pesca era un'attività tradizionalmente diffusa
su tutte le coste del regno. Essa assunse carattere
industriale soprattutto grazie all'opera di
L'agricoltura
delle Due Sicilie aveva i suoi punti forti nelle
pianure campane e pugliesi. Nelle fertili pianure
campane venivano applicate colture spesso di carattere
intensivo (in particolare di ortaggi, alberi da
frutto,
Per
ampliare la superficie agricola furono intraprese
opere di bonifica: tra le più importanti si
ricordano le bonifiche del
Un
altro esempio di colonia agricola da ricordare fu
quella di
Specialmente in Campania ed in Puglia le riforme del decennio francese e la successiva razionalizzazione dell'amministrazione pubblica, diedero vita ad un ceto agrario borghese destinato a sostituire gran parte dei vecchi proprietari terrieri nobili. Parte di questo ceto borghese (non solo agrario ma anche industriale) che si formò nella prima metà dell'Ottocento divenne il cardine dei nuovi movimenti liberali: la borghesia meridionale, forte delle posizioni economiche raggiunte, pretendeva riforme e posti di potere nel governo del regno. I desideri della borghesia però dovettero scontrarsi con la rigida politica assolutistica di Ferdinando II. In questo modo il ceto medio nato grazie alle politiche economiche borboniche divenne, in seguito alle mancate riforme del 1848, la classe sociale più ostile alla dinastia, trasformandosi nella spina dorsale dei movimenti costituzionali ed unitari protagonisti della dissoluzione del reame nel 1860.
L'abolizione
del feudalesimo fu il punto d'arrivo di un percorso
iniziato già ai tempi di Ferdinando I, il
quale, incalzato dagli intellettuali del regno, per
primo iniziò ad adottare una politica volta a
fronteggiare il
Nel
provvedimento adottato dal governo di
Con
la seconda restaurazione il governo borbonico adottò
la legislazione entrata in vigore nel decennio
napoleonico, e così gran parte dei problemi
legati alla compravendita di terreni nelle province
rurali, nonostante l'abolizione del feudo, rimasero
irrisolti, tanto da sfociare in rivolta in seguito
agli avvenimenti del
Nelle
aree meno fertili e più periferiche del regno
(come ad esempio nell'interno della
Nel tempo lo Stato Italiano con la monarchia sabauda fu apprezzato anche nel sud, al punto che il referendum monarchia-repubblica del 1946 vide il sud votare a larghissima maggioranza in favore del mantenimento della monarchia sabauda, mentre il nord votò per l'istituzione repubblicana.
Spese sociali e igiene pubblica
Lo
storico
«… Quasi non si sentiva nessun bisogno pubblico. L'igiene si trascurava in modo che le condizioni della maggior parte dei comuni, ma singolarmente dei più piccoli, erano orribili addirittura. Non fogne, non corsi luridi, non cessi nelle case, scarso l'uso di acqua, dove c'era naturalmente; quasi nessun uso, dove non c'era. Poche le strade lastricate o acciottolate, pozzanghere e fanghiglia nelle altre, e in questo gran letamaio razzolavano polli, e grufolava il domestico maiale. Bisogna ricordare che nei paesi meridionali, generalmente, i contadini vivono nell'abitato, nella parte vecchia, ch'è quasi sempre più negletta e fomite di malattie infettive. Ma tutto ciò sembrava così naturale, che nessuno se ne maravigliava; e se, di tanto in tanto, si compiva qualche opera pubblica, era piuttosto un abbellimento o una superfluità. La povera gente era abbandonata a sé stessa, mentre il galantuomo, aveva le case sulla strada principale, ovvero innanzi al suo portone si faceva costruire un metro di lastricato, per suo uso personale. I municipii, come si è detto, non avevano mezzi.» |
Continua
lo storico
«Non il principe, non le autorità si maravigliavano di un simile stato di cose. Ferdinando II aveva percorse più volte le provincie, e le condizioni moralmente e socialmente miserrime, le vedeva, ma non le intendeva. Se non rivolse mai le sue cure alla capitale, non era sperabile che le rivolgesse alle Provincie. Certi bisogni erano superfluità per lui; gli bastava ordinare la costruzione di una nuova chiesa o convento, per credere di aver così appagato il voto delle popolazioni. Negli ultimi tempi manifestò una certa energia nel volere la costruzione dei cimiteri; ma in tanta parte del Regno, di qua e di là dal Faro, anche dopo di averli costruiti, si seguitò a seppellire i galantuomini nelle chiese e a buttare la povera gente nelle ‘'fosse carnarie‘'. Anche innanzi alla morte l'eguaglianza civile era una parola senza significato !»
Industria e imprenditoria |
Il settore industriale, anche se meno rilevante dell'agricoltura, costituiva un campo in via di sviluppo e venne sostenuto dal governo borbonico attraverso politiche protezionistiche e incoraggiando l'afflusso di capitali stranieri nel regno. Dopo i primi barlumi di sviluppo industriale, avutisi durante il decennio francese, la dinastia borbonica, con la seconda restaurazione, avviò una politica volta all'indipendenza economica del reame. Si inaugurò dunque una politica industriale, che, nonostante i suoi limiti (non riuscì a soddisfare completamente i bisogni del reame), portò all'origine dei primi opifici moderni della penisola ed apportò notevoli mutamenti nel tessuto sociale del Mezzogiorno.
A
causa di un sistema prettamente accentrato, Napoli era
sede di una maggior aggregazione industriale: ciò
comportò nei primi anni di questo processo di
industrializzazione massicci spostamenti di
lavoratori, che, provenienti dalle altre province del
regno, aspiravano a migliori condizioni di vita; non
sempre però l'occupazione era garantita a
tutti. Con l'evoluzione della società indotta
dalla crescita industriale tuttavia il fenomeno della
migrazione interna andò sempre più
scemando, fino a scomparire quasi del tutto negli
ultimi decenni di vita del regno. Al di fuori dei
grandi centri economici come
In
In
Nel
salernitano e nella
L'industria
alimentare era legata, in particolar modo, alla
produzione di olio, vino e grano duro ed i pastifici
erano diffusi su tutto il territorio del regno (in
particolare nella
Con
il passare del tempo si ebbe uno sviluppo delle
strutture industriali già esistenti in
In
Dopo
il
Negli
anni cinquanta i salari degli operai del settore
privato ammontavano in media ad una paga giornaliera
di 40/50
Secondo
alcuni storici l'imprenditoria nelle province
meridionali era esiguamente sviluppata rispetto al
resto d'Italia, tranne alcune notevoli eccezioni come
i
Tuttavia,
i dati riportati da uno studio del
Indice di industrializzazione delle principali province italiane 1871-1911 |
||||||
Provincia |
1871 |
1881 |
1901 |
1911 |
Popolazione maschile con più di 15 anni (1871) |
Area [km²] |
|
1,41 |
1,54 |
1,70 |
1,69 |
329.000 |
10.236 |
|
1,69 |
1,78 |
2,23 |
2,26 |
351.000 |
3.163 |
|
1,37 |
1,33 |
1,22 |
1,08 |
117.000 |
2.420 |
|
1,22 |
1,27 |
1,21 |
1,15 |
268.000 |
5.867 |
|
0,96 |
0,99 |
0,85 |
0,85 |
318.000 |
12.081 |
|
1,44 |
1,59 |
1,42 |
1,32 |
312.000 |
908 |
|
1,21 |
0,99 |
0,80 |
0,65 |
210.000 |
5.047 |
Tuttavia, gli autori dello studio da cui si citano i dati sopraindicati, tengono a far notare come «le province sono meno omogenee delle regioni, e gli indici vanno valutati con maggiore prudenza», poiché, ad esempio, «gli indici per Napoli e soprattutto Livorno tendono a superare la media semplicemente perché le province erano piccole, con poca terra agricola, e dunque relativamente pochi agricoltori.»
Trasporti, infrastrutture e comunicazioni
Sul
finire del
Ferrovie
All'inizio
del
La
grande frequenza di utenti rese necessario l'immediato
ampliamento delle strade ferrate ai comuni contigui,
che insieme formavano un bacino di quasi un milione di
abitanti. Il 6 novembre
Nel
frattempo si era provveduto a costruire, questa volta
totalmente a spese dello Stato, una prima linea
ferroviaria diretta verso nord. L'11 giugno
Nel
1853 a Napoli fu inaugurato il primo telegrafo
elettrico del regno, in comunicazione con
Nello
stesso anno (1855) l'ingegnere pugliese
Carta delle province meridionali d'Italia (1861) in cui sono rappresentate le tappe militari, i rilievi postali, le strade e le ferrovie esistenti nel 1861
Negli
ultimi anni di vita del reame arrivarono
all'attenzione del governo borbonico altri progetti
che prevedevano la costruzione di ferrovie dagli
Abruzzi alle Calabrie, dalla Basilicata al
L'11 febbraio 1860 così ordinava Francesco II al Consiglio di Stato:
«Che il prolungamento della ferrovia da Cancello per Nola, Palma e Sarno venga aperto nel minor tempo possibile sino a Sanseverino; che siano anche di più accelerati i viaggi da Capua al confine del Regno; che si ponga mano al gran ponte sul Volturno nella prossima primavera; che sia subito definito il punto della frontiera dove dovrà aver termine la Regia Ferrovia; che si studii il terreno con l'intendimento di formare il progetto di diramare la Real Ferrovia per le Province degli Abruzzi; che il Direttore del Ministero dei Lavori Pubblici presenti alla M.S. un rapporto sullo stato in cui trovasi i lavori delle ferrovie concesse ai privati, cioè, da Nocera per Cava e Salerno, da Salerno per Eboli e Basilicata e Taranto, da Napoli per Avellino in Puglia, tenendo presenti i rispettivi articoli di concessione; che si presentino pure alla M.S. i varii studii già fatti per le altre diramazioni necessarie per la intera rete delle ferrovie nei Dominii Continentali; che si spediscano alla Commissione delle ferrovie tutte le domande per concessione di altre ferrovie finora riunite in Ministero, per discuterle subito». |
|
Tuttavia,
dopo l'
Strade rotabili
Al
momento dell'insediamento della dinastia borbonica il
giovane
Sotto
l'occupazione napoleonica si diede nuovo impulso alla
costruzione di strade rotabili, alla ristrutturazione
delle vecchie strade e alla pavimentazione delle
carraie militari non più rotabili. Tra queste
nuove opere venne progettata anche la
Durante
il regno di Ferdinando II furono costruite numerose
nuove strade (come la Tirrena
Inferiore, l'
Al
momento dell'
Sicurezza nelle strade e brigantaggio
Viaggiare per le strade del regno era spesso pericoloso, come descrive lo storico Raffaele de Cesare (1845-1918) alle pagine 114-115 del suo libro
«[…] Ma ciò che rendeva difficile e pericoloso il viaggiare, era l'insicurezza delle strade. Il vallo di Bovino per i pugliesi, il piano di Cinquemiglia per gli abruzzesi, la Sila, il Cilento e lo Scorzo, per quelli che venivano dalle Calabrie e dalla Basilicata, erano tradizionali e paurosi nidi di malandrini. Sovente gli stessi proprietari di taverne, lungo le strade, fiutata una buona preda inerme, mettevano su prestamente uomini loro e ne formavano una piccola banda, la quale, bendandosi il volto e puntati i fucili contro i viandanti, gridava forte il tradizionale: faccia a terra e li spogliava d'ogni avere. La gendarmeria del vicinato non di rado teneva mano a questi ladri di occasione. Erano noti fra i più celebri organizzatori di piccole bande improvvisate, i tavernari dello Scorzo sulla via delle Calabrie, e del Passo di Mirabella sulla via delle Puglie; anzi si affermava che costoro fossero vecchi avanzi delle bande di Ruffo. Si preferiva perciò viaggiare in molti, con tre o quattro carrozze, portare il fucile carico a palla e scendere nei luoghi più pericolosi, coll'arma tra le mani, per istornar qualche agguato. Vero è che negli ultimi anni del regno di Ferdinando c'era una discreta sicurezza nell'attraversare quei luoghi, ma la fama antica accendeva le fantasie e le paure. Avanti che si costruissero le strade rotabili, cioè fino ai primi anni di questo secolo, si aveva l'abitudine di far testamento prima d'intraprendere il viaggio dalle provincie a Napoli.» |
«Ogni parte d'Europa ha avuto banditi e delinquenti, che in periodi di guerra e di sventura hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge […] ma vi è stato un solo paese in Europa in cui il brigantaggio è esistito si può dire da sempre […] un paese dove il brigantaggio per molti secoli si può rassomigliare a un immenso fiume di sangue e di odi […] un paese in cui per secoli la monarchia si è basata sul brigantaggio, che è diventato come un agente storico: questo paese è l'Italia del Mezzodì.» |
Poste e telegrafi
Anni '50: il Largo di Castello con il Palazzo dei Ministeri Reali (Palazzo San Giacomo). Al centro della piazza si può notare l'orologio elettrico di città, collegato ai cavi dell'adiacente Officina dei Telegrafi Elettrici.
Mappa
disegnata nel 1842 dal cartografo
Al
contrario di quanto accadde per la costruzione delle
nuove strade ferrate al di fuori della Campania, la
costruzione di nuove linee telegrafiche fu fortemente
voluta da Ferdinando II in tutto il regno. Nel regno
l'uso del telegrafo ottico di tipo
I francobolli postali furono istituiti con un decreto del re del 9 luglio 1857. Il decreto imponeva di affrancare i giornali, le stampe e la corrispondenza in generale, con la facoltà di far pagare le spese postali e l'affrancatura al destinatario. Furono create sette serie di francobolli: da mezzo grana, da uno, da due, da cinque, da dieci, da venti e da cinquanta grana. I fogli erano soggetti a bolli di uno o due grana, a seconda della destinazione della lettera. I bolli si annullavano con un timbro nero, riportante la parola "annullato". La prima emissione di francobolli per le Poste Napoletane avvenne il 1º gennaio 1858. I nuovi francobolli erano di vari colori e generalmente riportavano incisioni su filigrana rappresentanti il busto di Ferdinando II o i simboli del reame (3 gigli, cavallo sfrenato e trinacria). Con decreto del 28 febbraio 1858 la circolazione dei francobolli fu estesa anche alle Poste Siciliane.
Tradizionalmente
le spedizioni postali via terra avvenivano 4 volte
alla settimana da Napoli per le regioni continentali
(e viceversa) e sei volte per l'estero (confine
pontificio). L'Officina
Centrale
della Posta nel Regno delle Due Sicilie era situata a
Si faceva largo uso dei trasporti via mare: era impiegato un buon servizio postale su navi a vapore per raggiungere le isole e l'estero.
Marina mercantile e commercio internazionale
Il
regno era dotato di un'importante
Nel
1734, anno in cui
Con
l'avvento al trono di
La
seconda metà del XVIII secolo segnò per
il Regno delle Due Sicilie la ripresa di una coscienza
marinara, contrassegnata dal sorgere di tutte quelle
attività che decretarono l'inizio
dell'evoluzione verificatasi dopo il
Nel
1817 il principe di Ottajano
Con
il regno di
Avviso pubblicitario della compagnia "Messaggiera Marittima", 8 ottobre 1857
Morto
Francesco I, salì sul trono delle Due Sicilie
il figlio
Le
rivolte del 1848 segnarono una battuta d'arresto per i
traffici del regno, tuttavia dopo qualche anno la
marineria delle Due Sicilie riprese la sua crescita.
Nel 1852 i bastimenti napoletani iniziarono a
commerciare anche con
Tonnellaggio e numero di imbarcazioni
Nonostante
i progressi evidenziati in campo tecnologico, tra il
1818 ed il 1824, si registrò, per tonnellaggio
e numero di imbarcazioni, una esigua crescita della
marina mercantile del regno: ciò è
imputabile al "privilegio
di bandiera"
concesso ad Inghilterra, Francia e Spagna. In base a
tale privilegio, le merci trasportate su vascelli
battenti bandiere di questi paesi beneficiavano di una
riduzione sui dazi, pari al 10%, che, influendo sul
prezzo finale delle merci, faceva in modo che tali
bastimenti fossero preferiti per gli scambi
commerciali. A partire dal 1823, però, il
governo varò alcuni provvedimenti normativi i
cui risultati divennero evidenti negli anni
successivi: tali disposizioni, infatti, ebbero un
effetto propulsivo per l'industria cantieristica.
Quest'ultima, inoltre, poté beneficiare anche
della disponibilità, sul territorio dello
Stato, delle
Dal
punto di vista amministrativo, il litorale del regno
era organizzato in diciassette Commissioni
marittime;
undici erano quelle dei dominii al di qua del Faro:
Napoli, Gaeta, Salerno,
Imbarcazioni
registrate presso le Commissioni Marittime
siciliane al 1859 |
|||
Commissione |
Numero |
Tonnellaggio (t) |
|
|
256 |
20.492 |
|
|
279 |
14.036 |
|
|
254 |
11.551 |
|
|
136 |
2.512 |
|
|
313 |
2.765 |
|
|
69 |
1.129 |
|
|
517 |
8.970 |
|
TOTALE |
1.814 |
61.455 |
|
Alla
Commissione marittima di Napoli era iscritta la
massima parte del naviglio di tutto il reame; a tale
commissione, dalla quale dipendeva tutto il litorale
della provincia partenopea, le sue isole e l'
Commissione
marittima di Napoli |
|||||
Località |
Classe |
Località |
Classe |
Località |
Classe |
|
1 |
|
3 |
|
3 |
|
1 |
|
3 |
|
3 |
|
2 |
|
3 |
|
3 |
|
2 |
|
3 |
|
3 |
|
2 |
|
3 |
|
3 |
|
3 |
|
3 |
|
|
Nei
dominii al di qua del Faro, per tonnellaggio, alla
commissione di Napoli, seguivano le commissioni di
Barletta, Gaeta, Salerno e Reggio; mentre, per quanto
concerne la portata media dei legni registrati presso
ciascuna commissione (dato ottenuto rapportando il
tonnellaggio complessivo con il numero delle unità
di naviglio), le commissioni di Napoli, Barletta e
Gaeta risultavano sempre le più rilevanti,
seguite, però, da Manfredonia e Pescara.
Considerando i singoli porti, invece, quello di Napoli
faceva registrare il tonnellaggio maggiore, mentre il
porto di Procida era quello con il maggior numero di
navi di grande stazza destinate alla navigazione di
lungo corso. I legni presso il porto di Torre del
Greco, invece, erano composti prevalentemente da
battelli destinati alla pesca del
Tipologia
e tonnellaggio di tutte le imbarcazioni
registrate |
|||||
Bastimenti di maggior portata |
Imbarcazioni di minor portata |
||||
Tipo |
Numero |
Tonnellaggio (t) |
Tipo |
Numero |
Tonnellaggio (t) |
|
17 |
3.748 |
|
6 |
123 |
|
23 |
10.413 |
|
12 |
1.124 |
|
380 |
106.546 |
|
17 |
1.251 |
|
211 |
33.067 |
|
120 |
4.678 |
|
6 |
2.432 |
|
1.332 |
29.860 |
|
13 |
1.246 |
|
8 |
379 |
|
2 |
488 |
|
33 |
1.131 |
|
113 |
5.051 |
|
2 |
23 |
|
30 |
1.282 |
|
98 |
7.831 |
|
231 |
13.958 |
|
13 |
551 |
|
108 |
1.784 |
|
8 |
719 |
|
3 |
389 |
|
1 |
18 |
|
180 |
11.584 |
|
2 |
355 |
|
|
|
|
3.586 |
14.782 |
|
|
|
|
3.292 |
5.083 |
TOTALE |
1.317 |
191.988 |
TOTALE |
8.530 |
67.908 |
Al
momento dell'unità d'Italia la marina
mercantile borbonica superava quella del Regno di
Sardegna per stazza delle navi e per investimenti di
capitali. Tuttavia negli anni successivi
all'unificazione si assistette ad un progressivo
smantellamento della flotta meridionale: i nuovi
governi italiani puntarono decisamente sulle industrie
e sui cantieri del nord, in particolare liguri,
sostenendoli con l'intervento politico, con generosi
anticipi di capitale e con altre sovvenzioni statali.
La penuria di investimenti nel Mezzogiorno e la
progressiva perdita del potere economico limitarono in
quegli anni la trasformazione della flotta mercantile
del sud in senso moderno. A questo trend negativo
resistettero solo alcuni tra i maggiori armatori
napoletani, della penisola sorrentina ed i
Sulla
effettiva consistenza della flotta mercantile
borbonica lo storico meridionale
«“La marina mercantile era formata quasi interamente di piccoli legni, buoni al cabotaggio e alla pesca e la montavano più di 40.000 marinari, numero inadeguato al tonnellaggio delle navi. La navigazione si limitava alle coste dell'Adriatico e del Mediterraneo, e il lento progresso delle forze marittime non consisteva nel diminuire il numero dei legni ed aumentarne la portata, ma nel moltiplicare le piccole navi. La marina mercantile a vapore era scarsissima, non ostante che uno dei primi piroscafi, il quale solcasse le acque del Mediterraneo, fosse costruito a Napoli nel 1818. Essa apparentemente sembrava la maggiore d'Italia, mentre in realtà alla sarda era inferiore, e anche come marina da guerra, era scarsa per un Regno, di cui la terza parte era formata dalla Sicilia e gli altri due terzi formavano un gran molo lanciato verso il Levante. La marina e l'esercito stavano agli antipodi: l'esercito era sproporzionato al paese per esuberanza, la marina per deficienza.”»
|
Relazioni commerciali
L'aumento del numero di imbarcazioni componenti la marineria del regno, il contestuale incremento del loro tonnellaggio (in particolare per le navi di maggiore portata) e la crescita del movimento complessivo delle navi napoletane nei porti del reame, in particolare nel ventennio 1838-58, si configurano come indicatori dello sviluppo fatto registrare dai commerci nelle Due Sicilie. Inoltre, a partire dal 1830, grazie al miglioramento delle condizioni economiche del regno, si intensificarono ulteriormente le relazioni commerciali, stabilite dopo la Restaurazione, tra il regno ed i mercati esteri.
Nello specifico, il commercio internazionale del Regno delle Due Sicilie avveniva quasi esclusivamente via mare e gli unici scambi via terra con altri stati erano rappresentati da quelli con lo Stato pontificio. Nel periodo 1837-1855, ad esempio, i traffici marittimi in entrata rappresentarono il 99,5% del totale delle importazioni ed il 96% del totale delle esportazioni.
I maggiori partner commerciali del regno erano Gran Bretagna, Francia ed Impero austriaco: il commercio estero del reame, per inciso, era caratterizzato dalla concentrazione di un gran numero di scambi verso pochi paesi. Per quanto concerneva le importazioni, la Gran Bretagna si attestava come maggior fornitore, mentre per le esportazioni, fino al 1847, il primato spettò alla Francia, seguita dall'Austria; successivamente, questi due stati furono scavalcati, in diverse occasioni, dal regno britannico che si attestava come il principale importatore di prodotti delle Due Sicilie.
In
particolare, gli stati più industrializzati,
come, appunto, Inghilterra e Francia, importavano dal
regno borbonico materie prime e prodotti agricoli. Per
quanto concerne, invece, i flussi economici per il
trasferimento di beni e servizi, la
Commerci
marittimi con legni Napoletani |
|||||
Stato |
Numero |
Stato |
Numero |
Stato |
Numero |
|
34 |
|
8 |
|
2 |
|
29 |
|
7 |
|
2 |
|
21 |
|
6 |
|
2 |
|
21 |
|
6 |
|
2 |
|
15 |
|
5 |
|
1 |
|
13 |
|
3 |
|
1 |
|
9 |
|
3 |
|
|
I traffici commerciali avvenivano in gran parte attraverso navi battenti bandiera borbonica e ciò in special modo per le esportazioni. I dati rilevati nel periodo 1837-1855 evidenziano, per le importazioni, un andamento irregolare della preminenza dei battelli regnicoli, mostrando un picco del 74%, nel 1839, ed una punta minima del 49,3%, nel 1849. Per le esportazioni, invece, i dati sono nettamente favorevoli alle navi meridionali, oscillando essi tra un minimo del 57,6% dei traffici in uscita avvenuti a mezzo battelli napoletani, nel 1841, ed un massimo dell'80,4% dei traffici in uscita avvenuti a mezzo navi regnicole, nel 1845. Per gli scambi con Francia ed Austria, invece, i vascelli napoletani, prevalevano sia nei commerci in entrata, sia nei commerci in uscita: in particolare, nel ventennio 1838-1858, vi fu un graduale calo che avvantaggiò ulteriormente i bastimenti del Regno: i movimenti commerciali con legni austriaci passarono rispettivamente, per importazioni e per esportazioni, dal 5,7% e 5,1% all'1,9% e all'1,6%; mentre le transazioni avvenute a mezzo vascelli francesi calarono dal 2,3% e 2,2% allo 0,2% e allo 0,1%.
Nel
1852, le navi battenti bandiera napoletana approdarono
nei porti di 22 diversi stati per un totale di 192
porti. Più in generale e, quindi, prescindendo
dalla nazionalità delle imbarcazioni, il numero
di legni che entravano vuoti (per caricare merci) o
uscivano vuoti (dopo aver scaricato merci) dai porti
del regno era considerevole, ad esempio, anche nel
1848, anno in cui si verificò in
Commercio
estero per abitante |
|||
Stato |
Imp.
+ Esp. |
Commercio |
|
|
2.004.000.000 |
71,18 |
|
|
1.278.960.000 |
35,48 |
|
|
434.000.000 |
11,03 |
|
|
202.320.000 |
40,13 |
|
|
192.000.000 |
12,39 |
|
|
153.000.000 |
9,58 |
|
Regno delle Due Sicilie |
60.000.000 |
6,52 |
|
|
57.600.000 |
31,70 |
|
|
28.320.000 |
9,06 |
|
Secondo
gli studi di Augusto Graziani, immediatamente prima
dell'
Gli
scambi commerciali con il
Le esportazioni verso la Francia avevano come destinazioni diversi porti transalpini e riguardavano perlopiù oli, grano, pollame, zafferano e canapa.
Al
fine di eludere i dazi doganali, però, molte
esportazioni destinate alla Francia passavano per il
porto franco di
L'
Altre
produzioni destinate all'Impero erano rappresentate da
grani, semi e frutta secca. Le esportazioni verso
l'Austria seguirono un andamento costante fino al
1848, anno in cui fu registrato un incremento, che non
subì flessione se non nel 1853. Gli scambi tra
i due stati avvenivano quasi esclusivamente a mezzo di
imbarcazioni napoletane, sia per le esportazioni, sia
per le importazioni. Questo aspetto è
spiegabile considerando che la marina mercantile
imperiale era composta perlopiù da imbarcazioni
di media stazza che erano adatte per i traffici con i
porti più vicini dell'
Lo Stato delle Due Sicilie importava dall'Austria prevalentemente legno e lavori in cristallo e vetro; mentre attraverso il porto franco di Trieste, giungevano nelle Regno, provenienti da altri stati, prodotti coloniali.
Gli
scambi commerciali tra le Due Sicilie e gli stati
italiani incidevano in maniera sempre minore sul
totale del commercio estero del Regno di Sua
Maestà Siciliana.
In particolare, le esportazioni, che nel periodo
1837-41 incidevano per il 20% sul totale nazionale,
calarono al 15% nel periodo 1854-58. Il dato, poi,
dovrebbe essere ulteriormente ridimensionato se si
considera che molte merci trasportate, a mezzo di
battelli napoletani, dai porti franchi di Genova,
Forze armate e spese militari
Le
forze armate del Regno delle Due Sicilie si
suddividevano in Real Esercito ed Armata di Mare di
Sua Maestà, coordinate dal Ministero della
Guerra e della Marina. Il
Gli uffici del Ministero di Guerra e Marina presentavano annualmente lo "stato discusso" dell'esercizio finanziario successivo (ossia il bilancio di previsione), che veniva in seguito sottoposto all'attenzione del re. Le spese militari negli anni cinquanta ammontarono in media a quasi 13 milioni di ducati annui, cifra corrispondente a più di un terzo degli investimenti pubblici totali annui. Tale rilevanza delle spese militari nel bilancio pubblico era sintomo non solo della grande attenzione per le forze armate dimostrata dagli ultimi governi borbonici, ma anche dell'importanza dell'indotto militare nel tessuto economico del reame. Infatti, oltre ai molti stabilimenti statali per la produzione di armamenti, era necessario avere un adeguato indotto che fornisse materiali ed equipaggiamenti di vario genere alle forze armate. Le spese e la qualità dei materiali poi venivano controllate da organi preposti a questa funzione (Intendenza e Amministrazione di Esercito e Marina).
Cultura ed Istruzione
Il
Regno delle Due Sicilie ereditava le secolari
tradizioni dei regni di
In
quegli anni si impose anche la
La
ricchezza di testimonianze archeologiche (il cui
esempio più eclatante erano gli
Tra
le accademie più importanti si ricordano
l'
Nel Regno delle Due Sicilie l'istruzione pubblica era strutturata su Scuole Primarie, Scuole Secondarie, Reali Collegi, Reali Licei e Regie Università degli Studi, sotto la supervisione del Ministero degli Affari Ecclesiastici e dell'Istruzione Pubblica. In Sicilia la gestione dell'istruzione pubblica era affidata al Luogotenente Generale per conto del Dipartimento dell'Interno.
L'istruzione
primaria, nonostante fosse disciplinata da norme
minuziose varate durante il decennio
francese,
era erogata in maniera ineguale sul territorio,
soprattutto nelle zone rurali del reame. Secondo le
statistiche del periodo successivo alla Restaurazione,
la
name="cite_ref-162">I
bambini appartenenti alle classi sociali più
agiate venivano generalmente istruiti in istituti
privati, presenti in buon numero nelle principali aree
urbane.
L'istruzione secondaria era posta su basi più solide. Le scuole superiori, distinte in "Reali Collegi" e "Scuole Secondarie", erano situate nei capoluoghi di provincia e nelle città principali. Nel 1860 si potevano contare almeno un Collegio Reale per ogni capoluogo di Provincia e 58 Scuole Secondarie, queste ultime erano scuole superiori che a differenza dei Reali Collegi impartivano anche insegnamenti di tipo tecnico e professionale. Anche per quanto riguarda l'istruzione secondaria esistevano collegi (per gran parte religiosi) ed istituti tecnici privati, principalmente in Sicilia.
A
Napoli era situata l'
A
riguardo dell'istruzione pubblica nel Regno delle Due
Sicilie post-restaurazione, occorre ricordare che il
10 gennaio del 1843 l'allora re Ferdinando II sancì
la rinuncia completa dello Stato ad ogni intervento e
controllo sulla scuola, che venne totalmente affidata
all'autorità dei
I vescovi ottennero la facoltà di nominare, rimuovere, trasferire, sospendere i maestri comunali e quella di prescrivere la durata e l'orario dell'insegnamento. «Non rimaneva, dopo quel decreto, quasi nulla dell'organizzazione di Gioacchino».
A
seguito dei
Dopo
la sconfitta della rivoluzione del 1848, il Regno
delle Due Sicilie non fu praticamente più in
grado di alimentare né di rendere perseguibile
nessuna speranza di rinnovamento, se non tramite un
pesante filtro ecclesiastico. Nel 1859 si contavano
appena 2.010 scuole primarie con 39.881 allievi,
27.547 allieve e 3.171 maestri, su una popolazione di
oltre 9.000.000 di abitanti. Al momento dell'Unità,
se il tasso medio di analfabetismo nel Regno d'Italia
era del 78% (72% tra la popolazione maschile, 84% tra
quella femminile), nel Mezzogiorno tale tasso saliva
fino al 90%.